Gohatto (Tabù, in italiano) è un film che parla – anche – di omosessualità; ma non è quello il tabù cui fa riferimento il titolo (il film è ambientato in un periodo storico e culturale – il Giappone del 1865 - in cui l'amore per persone del proprio stesso sesso è fenomeno diffuso e accettato, soprattutto in termini di discente-maestro): il vero tabù è la sfida al rigoroso ordine etico e morale che permea un gruppo come quello della milizia di samurai della Scuola Shinsengumi. L'entrata del novizio diciottenne Sozeburo Kano, efebico e affascinante, finirà per far prevalere il disequilibrio dei sentimenti e delle passioni sul rigore apollineo e marziale di un ambiente chiuso ed elitario come quello della milizia. Le immagini di una splendida fotografia, il ritmo cadenzato delle riprese e le scenografie sembrano volutamente sottolineare una ricerca di perfezione formale sotto la quale si insinuano le atmosfere torbide e implosive.
create dalle musiche di Sakamoto, suadenti, tragiche, essenziali che
comunicano un senso di desiderio e di tormento, come una parte emozionale che fa fatica a trovare espressione e godimento. Di lì a poco la casta dei samurai è destinata a sparire, in seno agli stravolgimenti politico-culturali di quegli anni.
Kano dichiara di avere diciotto anni (ma i capi della Shinsengumi fanno
fatica a credergli: egli forse mente sulla sua età per potersi introdurre nella milizia anzitempo? Lo stesso attore scelto dal regista Oshima per interpretare il personaggio ha in realtà15 anni): sfoggia una bellezza androgina, algida, che ricorda quella di una compiacente geisha.
Alterna atteggiamenti passivi, ambigui e compiacenti ad
altri di inusuale ferocia, freddezza e determinazione.
Sa uccidere senza esitare: quando gli viene chiesto il motivo della sua entrata nella milizia, egli fa un sorriso puerilmente malizioso e poi risponde: “Per avere il diritto
di uccidere”.
Nell'ambiente totalmente maschile della Scuola, i suoi commilitoni si danno da fare (e si dannano) per conquistare le sue grazie come fossero in presenza di una vera e propria femme fatale.
Kano usa il suo fascino come arma di potere e di controllo:
gioca un ruolo di seduttività passiva, ma sembra avere sempre in pugno la situazione e tiene in sè una forte rabbia che trova sfogo quando egli può uccidere, ma rimane dissimulata in un dolce e ambiguo sorriso quando seduce i suoi commilitoni.
Al suo ingresso nella scuola Shinsengumi porta ancora i capelli "pettinati da adolescente" (rispetto ai codici della società giapponese) come a voler rivendicare la voglia e il diritto di esserlo ancora e di non volersi piegare alla regola di un gruppo (iper)responsabilizzato e adulto come quello dei samurai.
“La bellezza che incanta, il piacere che uccide” scriveva Baudelaire in anni di poco antecedenti a quello in cui è
ambientato il film.
Una presenza, quella di Kano, che viene accostata simbolicamente, in una scena visivamente splendida del film, a quella dell'albero del ciliegio, che fiorisce maestosamente ma la cui bellezza è fugace, il suo tempo limitato.
Un film che parla quindi di Eros e Thanatos, di passione e
di freddezza, di ambiguità e di tradimento, di regola e caos.
Cosa porta Kano a essere così rabbioso e spietato?
Il regista non ci dice nulla a riguardo, il mio pensiero va alla figura dell'adolescente
istericamente seduttiva tratteggiata da Pietropolli Charmet nel suo “I nuovi adolescenti” che, per dimostrare il proprio potere e il proprio valore a una madre fredda e respingente, gioca senza pietà con i sentimenti dei maschi che le ronzano attorno, come reazione disperata alla profonda ferita narcisistica del rifiuto subito.
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